Chissà dove sei,
dopo tutto questo tempo. Com’è facile affondare nella palude dei ricordi,
quando ti arrabbiavi e la colonna delle note della 1° C era un solo,
ininterrotto susseguirsi di note. Che nessuno, oramai, leggeva, che nessuno
puniva, ma che tutti leggevano.
Perché quelle
note erano un atto d’amore: misuravi la tua incapacità di farli innamorare
delle buone lettere, di quelle che scaldano il cuore, che allungano il respiro.
Dopo tanto tempo te lo posso anche dire: era tutto inutile. A quell’età, con
gli ormoni che impazzano, è impossibile che s’accorgano delle chiare, fresche e
dolci acque del Petrarca, al più avvertono le rime di Cecco Angiolieri, lo
scapigliato rapper del ‘200.
Eppure, non
demordevi. E pensavi al tuo branco di gatti, alla tua legione di orfani che
aspettavano sotto le bombe, in un pianeta che sta esplodendo dal dolore che
accumula. E ne scrivevi, Dio come ne scrivevi bene!
E nessuno se
n’accorgeva, nessuno andava a chiedere ad Anna Grenno da Mallare perché
scrivesse, pochi si sono accorti di te. Che peccato.
La tua lotta,
impari, per riuscire ad adottare qualche orfano di Chernobyl o della
Jugoslavia, per nutrirli con qualche gioia, qualche fiaba, qualche gatto del
tuo branco che tenesse loro compagnia.
Oh, Anna…io sono
un prosatore! Non ho la poesia che scorre nelle vene, non riesco a poetare in
prosa…tu ci riusciresti, lo so…non riuscivi a distaccartene! Chissà se capirai
il mio scrivere così rozzo…perdonami.
So che lo farai.
Un giorno o
l’altro ti verrò a trovare, col mio mazzo di fiori per te, te lo consegnerò trepidante,
senza attendere una risposta.
Perché, sai
Anna, quando vidi quel manifesto listato a lutto, dapprima fu incredulità, poi
la sensazione che un treno merci – di quelli pesanti, che arrancano su per la Langa – mi fosse arrivato
sul muso e m’avesse trascinato in un tourbillon di ricordi…woman in black
forever…il tuo avanzare deciso nel corridoio…la mente assorta in chissà quale
rima…fiut!, svanita.
Per fortuna te
ne sei andata in un attimo, dalla valle di lacrime al regno delle ombre, senza
soffrire: la chiamano “la morte del giusto”. E tu lo eri, anche se pochi se ne
sono accorti.
Ciao, Anna.